lunedì 27 marzo 2017

COGNITIVISMO



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cognitivismo Indirizzo psicologico che si occupa dei processi cognitivi mediante i quali un organismo acquisisce informazioni dall'ambiente, le elabora ed esercita su di esse un controllo. Secondo il cognitivismo, essendo la conoscenza sempre mediata, è fondamentale il concetto di esperienza: infatti, da un lato lo sviluppo cognitivo risulta dall’elaborazione della conoscenza percettivo-concettuale del mondo e dall’altro quest’ultima si realizza nelle attività esecutive. 
Oggi la psicologia, prevalentemente in campo sperimentale, è infatti - in tutto il mondo, e non più solo negli Stati Uniti - saldamente in mano ai cognitivisti. 
Il cognitivismo non è una scuola, non vi è mai stato un “manifesto” cognitivista (se non si vuoi considerare tale Psicologia cognitiva di Neisser, uscito però quando il movimento si era già affermato da almeno un decennio). Molti libri o articoli usciti negli anni ‘50 e ‘60 si sono rivelati solo a posteriori tappe fondamentali nello sviluppo del movimento, ed è dubbio che vi fosse sempre consapevolezza da parte dei diversi autori che hanno costruito il cognitivismo del reale senso di quanto andavano facendo o scrivendo. 
Per molti hanani i vari contributi apparivano sparsi, in cui i vari autori  non si riconoscevano in un movimento unitario.
Il cognitivismo è una diretta filiazione del comportamentismo: è da questo che, sia pur per differenziarsi, il punto di riferimento dei cognitivisti. 
Il cognitivismo e altre teorie che si sono poste alla sua base (cibernetica, teoria della comunicazione, teoria della decisione) entrarono nel mondo della psicologia specificamente attraverso il comportamentismo. 
Il termine cognitivismo sarà utilizzato solo dopo l’uscita ne 1967 di “Psicologia cognitivista” di Neisser. In precedenza gli stessi cognitivisti si ritenevano dei comportamentisti di “terza generazione”: dopo la prima di Watson, e la seconda (il neocomportamentismo) di Tolman, Skinner e Hull, essi  pensavano di vivere una nuova fase del comportamentismo chiamata “cenocomportamentismo”.  

  • comportamentismo radicale: le categorie “mentali”, non essendo direttamente osservabili come quelle comportamentali (intese come insieme di reazioni muscolari o ghiandolari), non possono essere oggetto di ricerca scientifica, e chi se ne occupava si poneva automaticamente al di fuori dell’ambito della scienza.
  • neocomportamentisti: con le variabili intervenienti si introducono concetti tipicamente mentalistici. 



La “rivoluzione cognitivista” muta il panorama della psicologia sperimentale, che fino agli anni ‘50 era stato completamente caratterizzato dalle teorie comportamentiste. 


l cognitivismo come filiazione del comportamentismo
l “mentalismo” dei cognitivisti: i modelli

La psicologia cognitivista può, sotto molti aspetti, essere considerata una psicologia mentalistica. 
Il termine mentalismo ha avuto una storia complessa:

La riflessione epistemologica dei comportamentisti  è stata di massima molto più approfondita di quella dei cognitivisti che hanno mostrato largamente la tendenza a disinteressarsi dei fondamenti delle loro concezioni.
I cognitivisti non hanno mai mosso critiche epistemologiche, dimostrando piuttosto una certa noia e un sostanziale disinteresse per le basi epistemologiche della psicologia, in cui vedono soprattutto la sterilità e l’angustia di prospettive. Ciò può essere visto come una reazione eccessiva alla delusione proveniente dal rigore epistemologico comportamentista. 
Gli orientamenti epistemologici dei comportamentisti sono stati principalmente operazionismo, neopositivismo e l’empirismo logico. Ed è relativamente a questi che vanno fatte delle considerazioni. 








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